Le chiese valdesi e metodiste

Il metodismo ha origine intorno al 1730 ad opera di giovani inglesi, alcuni dei quali pastori della Chiesa d’Inghilterra, che si riunivano regolarmente per studiare le Scritture, pregare ed assistere i più poveri. Gli aderenti al gruppo furono chiamati, con una certa irrisione, “metodisti” a causa della regola di vita che si erano dati.
Figure portanti del movimento sono i due fratelli Wesley che, non incontrando sempre il favore del clero anglicano presero l’abitudine di predicare all’aperto o nelle piazze dei paesi.
Il movimento si estese rapidamente anche in America dove ebbe grande importanza nell’avanzata dei coloni verso l’Ovest; mentre le chiese ufficiali avevano una organizzazione molto rigida con cappelle, preti o pastori, ai predicatori metodisti bastava una tenda e lasciavano poi che i membri delle nuove congregazioni si organizzassero. Di qui la grande importanza alla responsabilità dei laici nella vita della chiesa.
Non meno importante fu la presenza del movimento metodista in campo sociale. Furono spesso i predicatori metodisti e i membri attivi della parrocchie che formarono i primi gruppi in ambiente operaio da cui nacquero le Trade Unions cioè i sindacati inglesi e americani.
Nell’Italia dell’ottocento si costituirono gruppi metodisti tanto ad opera di predicatori inglesi (chiesa wesleyana) quanto americani (chiesa episcopale).
Al fianco delle altre chiese evangeliche, soprattutto di quella valdese, operarono alla diffusione dell’evangelo nell’Italia riunificata. La conoscenza della Bibbia e la forza liberatrice dell’evangelo avrebbero dovuto contribuire all’emancipazione del popolo e a porre le basi per la sua crescita nel contesto europeo.
Nel dopoguerra i due rami del metodismo si unirono in un’unica chiesa.
Nel 1979 la chiesa metodista e la chiesa valdese si sono integrate nello nello stesso sinodo ed hanno un unico corpo pastorale.