Non ho fatto in tempo a conoscere don Roberto. Ugualmente sono rimasta rattristita e colpita non solo dalla sua morte per mano, sembra, di uno dei suoi assistiti, ma anche di alcune reazioni, che senza vergogna strumentalizzano anche questo evento sconvolgente.
Prima di ogni mia riflessione voglio lasciare spazio a un pensiero di Dina Mensah, membro del concistoro della nostra chiesa valdese di Como, che ha lavorato insieme a don Roberto. Prendendo spunto da alcuni versetti del Vangelo scrive:
«Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e una di queste si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti per andare in cerca di quella smarrita? E se gli riesce di ritrovarla, in verità vi dico che egli si rallegra più per questa che per le novantanove che non si erano smarrite. Così il Padre vostro che è nei cieli vuole che neppure uno di questi piccoli si perda… (Matteo 18, 12-14).
Ho lavorato con don Roberto in favore dei senza tetto, delle persone che vivono in strada. Come il pastore descritto nella parabola don Roberto non lasciava indietro nessuno. Era sempre pronto ad aiutare tutti, a prescindere dallo stato di provenienza, soprattutto le persone di cui non si occupava nessun altro. Lascia un vuoto che sarà difficile da riempire, la sua assenza è incolmabile.»
La morte di don Roberto ci lascia frastornati, sconvolti, ma ci costringe anche a prendere coscienza della realtà con lucidità, perché riapre questioni irrisolte e situazioni difficili di disagio e vulnerabilità non affrontate fin in fondo con responsabilità. Era stato lasciato solo, dicono in tanti, addirittura ostacolato nel suo operare – non bastano perciò il lutto e la commemorazione, ma neanche le reciproche accuse.
Come chiesa, come credenti sentiamo un richiamo al senso vero della nostra presenza, della nostra testimonianza di un Dio che si cura dei minimi, dei dimenticati. Siamo invitati ad essere meno occupati con ciò che riguarda noi stessi e più lanciati, senza remore, nelle questioni concrete di giustizia e convivenza pacifica. Urge resistere a una cultura che strumentalizza le paure. Quanto è accaduto non ci frena, al contrario: insistiamo e perseveriamo nel cammino del dialogo e dell’accoglienza. Impegniamoci senza mezze misure per i diritti e la dignità delle persone.
Rafforziamo insieme le reti della collaborazione per una città, una società aperta e accogliente, che alle preoccupazioni legittime e alle paure non risponde con restrizioni e richiami a una presunta sicurezza da difendere, ma con atti e gesti ancora più franchi e visibili di giustizia, apertura e tutela dei più fragili ed esposti.
Per la chiesa valdese di Como, Anne Zell, pastora.