Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glorioso. E tutte le genti saranno riunite davanti a lui ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri; e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli della sua destra:
Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v’è stato preparato fin dalla fondazione del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno:
Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto? O nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti?”
E il re risponderà loro: “In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me”.
Matteo 25,31-40
L’evangelista Matteo pone questo discorso di Gesù a conclusione di una serie di parabole relative al giudizio, e appena prima del racconto della Passione. Sappiamo quanto l’attesa apocalittica fosse presente nel mondo giudaico e nei seguaci di Gesù, che proprio in lui avevano identificato il Messia atteso. Tuttavia i profeti ne avevano offerto varie incarnazioni, dal giudice severo alla fine del mondo, al liberatore che avrebbe ripristinato l’unità territoriale del popolo eletto. Era diffusa anche una prospettiva più sfumata, meno attraente, quella di un servo sofferente, un agnello sacrificale, non facilmente riconoscibile allo sguardo umano. Nessuno sapeva in quale veste il Messia si sarebbe presentato al mondo.
Dopo il suo trionfale ingresso a Gerusalemme, Gesù attraversa momenti sempre più difficili: contestato, sospettato, sorvegliato e infine tradito. Non smette però di parlare ai suoi e di lasciare messaggi e disposizioni per il tempo in cui non sarebbe più stato presente accanto a loro. Vuole che sappiano come comportarsi e cosa attendere.
Non rinuncia a offrire loro l’immagine di un Messia trionfante, un re che nella sua gloria si sarebbe seduto su un trono per giudicare, anche se egli è consapevole dello stretto passaggio di sofferenza e morte che lo attende. Le parole del giudizio che aprono il discorso ci arrivano con tutta la loro severità e ci incutono timore. Non ci sembrano dapprima molto diverse dai tanti giudizi descritti in alcune religioni pagane. Però poi tutto cambia: infatti ad essere giudicati qui non sono più soltanto i giudei e i cristiani a cui Gesù si è sempre rivolto, ma lo sguardo del Messia-re spazia su tutte le nazioni, su tutti i popoli. Non ci sono privilegi per coloro che si proclamano fedeli al Dio d’Israele. Non ci sono condanne specifiche determinate dalla non-appartenenza al popolo di Jahweh o alla nascente compagine cristiana.
Il giudizio assume una dimensione universale e si fonda sulle opere di misericordia.
Gesù qui ribalta il sistema che governa i rapporti umani e ci dice che chi sostiene il povero, lo straniero, il debole, verrà giudicato con favore, come se l’azione fosse stata compiuta a favore del Figlio dell’uomo. Ci insegna che i semplici gesti verso il nostro prossimo rientrano nella logica dell’amore che Gesù ha posto come comandamento aureo.
Se dunque abbiamo scelto di accogliere Dio nella nostra vita, se crediamo che il messaggio dell’evangelo mantenga la sua forza di riscatto e di liberazione, allora la nostra azione dovrà necessariamente concretizzarsi nelle opere di misericordia che sono l’espressione del nostro amore per Dio e per la vita. Amen.
Alida Chiavenuto