“Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”
(Giovanni 8, 30-38)
Libertà! Bella parola, a noi molto cara; nessuno infatti vorrebbe rinunciarvi.
Ma di quale libertà si parla in questo testo di Giovanni? Infatti ogni momento della nostra vita quotidiana è soggetta a norme, procedure, codici e agli ordini dei superiori; tutto questo ci fa capire che la nostra libertà individuale è ridotta a piccoli frammenti. Inoltre in alcuni paesi è persino vietato tenere riunioni pubbliche o esprimere opinioni personali e questo è un ulteriore limite.
Il nostro testo ci pone davanti tre parole: conoscere, verità e liberi; un verbo, un sostantivo e un aggettivo. Fra queste tre parole c’è una concatenazione perfetta. Tuttavia la storia della conoscenza della verità comincia molto tempo prima del IV evangelo perché il Signore ha rivelato ad Israele la sua volontà sul Monte Sinai, consegnando i suoi comandamenti a Mosè; poi c’è stata la predicazione dei profeti e infine la rivelazione definitiva nella persona di Gesù di Nazareth. Da ultimo, leggiamo nel Nuovo Testamento che lo Spirito Santo fa risiedere in noi per sempre lo spirito della verità e ci accompagna ogni giorno.
Siamo liberi! Lo possiamo dichiarare a pieni polmoni. Ma liberi da chi e da che cosa? La libertà presuppone sempre il suo contrario ossia la schiavitù; non è un caso che il racconto più famoso di libertà, o – se preferite – di liberazione, è quello descritto nel libro dell’Esodo, il quale è alla base della fede di Israele. I discepoli di Gesù rivendicano la loro discendenza da Abramo e in un certo senso contestano il concetto di schiavitù perché si ritengono liberi da sempre. E in effetti il loro ragionamento è corretto; essi tuttavia dimenticano un’altra parola che si trova spesso nel vocabolario biblico: peccato.
Martin Lutero nel 1520 scriveva un opuscolo intitolato “La libertà del cristiano”; l’assunto era il seguente: «il cristiano è un libero signore sopra ogni cosa e non è sottoposto a nessuno. Un cristiano è un servo volenteroso in ogni cosa e sottoposto ad ognuno».
Libertà nel servizio reciproco potrebbe essere l’interpretazione attuale di quel libretto e questo spiega come ancora oggi sia forte nelle comunità evangeliche il senso della libertà spirituale. Ma possiamo ancora esprimere la nostra libertà cristiana in una società che è sempre più opprimente? Possiamo inoltre ritenerci esenti dal peccato?
Credo che gli spazi a nostra disposizione ci siano; magari non molto ampi; magari dobbiamo andarli a scovare; ma ci sono. Mi piace l’immagine dell’arcipelago con tante isole disperse in mezzo al mare, in apparenza queste isole non sono collegate fra loro perché sono troppo distanti; tuttavia c’è sempre un faro che rischiara le tenebre della notte e che guida i naviganti. Quella luce ci richiama ad un altro versetto di Giovanni e precisamente al versetto 1:5 nel prologo; non è un caso che l’immagine del candelabro acceso nel buio della notte sia divenuto il motivo dominante dello stemma valdese. E’ la luce dell’evangelo che si diffonde in un mondo oscuro, pieno di incertezze, di inganni e di legami ambigui. Queste tenebre, come le chiama l’evangelista, non possono oscurare la nostra mente e renderci ancora una volta schiavi delle nostre paure perché Gesù è risorto, è salito al cielo e ci ha lasciato come guida lo Spirito Santo.
E allora anche il nostro peccato comincia ad arretrare e a lasciare il posto alle opere della fede. In questo modo potremo dire di aver ottenuto non solo la libertà civile ed economica ma anche quella che risiede nel nostro cuore.
(p.l. Sandro Sabadini)
(Image by Denis Doukhan from Pixabay)