cambiare e diventare come i bambini

In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Matteo 18,3

Il versetto biblico previsto per il mese di settembre 2015 ci è molto noto. Ma quale significato preciso ha per noi questo “cambiare e diventare come i bambini”? Vuol dire che dobbiamo diventare infantili? Vuol dire che dobbiamo disimparare quello che abbiamo imparato? Significa che dobbiamo assumere un comportamento “spensierato”?

Per intendere bene questo breve versetto bisogna ovviamente ricollocarlo nel suo contesto “spirituale”, nel suo ambiente originario che non parla di uno strano processo fisiologico o psicologico ma di un concetto di fede ben preciso. Come dice l’apostolo Paolo nella sua lettera ai Romani, “infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito di servitù per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito di adozione, mediante il quale gridiamo: Abbà! Padre! Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio. Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se veramente soffriamo con lui, per essere anche glorificati con lui” (Romani 8,14-17). Cambiare e diventare come i bambini, ovvero cambiare e diventare figli con una misura adeguata per il regno dei cieli (il regno di Dio), è un processo di crescita spirituale, qualcosa che mi porta avanti nella fede, non un cammino per tornare indietro (Giovanni 3). Essere figli di Dio Padre significa, in una visione evangelica e protestante, assumere una duplice posizione, un duplice ruolo: l’essere figli di Dio vuol dire diventare, allo stesso tempo, assolutamente liberi davanti a Dio (e non più schiavi) e assolutamente responsabili davanti agli altri (e non più disimpegnati).

Questo concetto lo potremmo anche esprimere con il binomio della libertà nella responsabilità. Cambiare e diventare come i bambini è quindi tutt’altro
che una fuga nostalgica nel giardino della nostra fanciullezza. (A. Köhn)