non abbiamo quaggiù una città stabile…

“ … non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura.” (Ebrei 13,14)

La “Lettera agli Ebrei” comincia con la Parola: “Dio” e termina con l’augurio: “La grazia sia con tutti voi.” Una lettera che cerca di parlare di Dio ad una comunità. Una lettera che vuol fare teologia per e con una comunità. Una lettera “teologica” e “pastorale” nello stesso tempo. Una lettera dal tono generico, potremmo dire – si parla, appunto, soprattutto di cose teologiche fondamentali.

Undici dei tredici capitoli della lettera trattano di Dio che ha parlato per mezzo del suo Figlio, della superiorità del Figlio di Dio rispetto agli angeli. Si tratta della salvezza ottenuta a causa dell’umiliazione del Cristo, il quale, con il suo sacrificio ha, per così dire, superato Mosè, la legge, il culto nel Tempio di Gerusalemme. Gesù stesso viene presentato come il nuovo Sommo Sacerdote, essendo diventato lui stesso il sacrificio supremo, perfetto ed unico, per riscattare i peccati del popolo di Dio.
Solo negli ultimi due capitoli troviamo una lunga lista di “esortazioni” e “raccomandazioni” per la comunità alla quale questo scritto si rivolge: esorta i membri della comunità a perseverare nella prova come tutti i testimoni della fede, i quali hanno preceduto la comunità nella sua
storia.
Un vero un proprio “TRATTATO DI TEOLOGIA” è questa lettera agli Ebrei, una carrellata di pensieri teologici, cristologici ed ecclesiologici. Un manifesto religioso ricco di citazioni e spunti
tratti dall’Antico Testamento. Una lettera teologica, forse un po’ “pesante”, pendente da una sola parte. Leggendola interamente, questa lunga lettera, di un fiato, ci manca, forse, alla fine un po’ il respiro. Una lettera anonima, questa lettera, cosiddetta “agli Ebrei”. Dai primi tempi della chiesa antica fino ai tempi della Riforma, sia l’autore di questa lettera, sia i destinatari concreti sono rimasti sconosciuti. Non c’è né firma, né indirizzo, come accade in altre lettere del
Nuovo Testamento. La lettera comincia subito con una frase teologica: “Dio, dopo aver parlata anticamente molte volte e in molte maniere ai padri …”
Mai chi è questo “noi” che parla? Non la sappiamo. Vi è una sola indicazione, nel penultimo versetto della lettera, che menziona “nostro fratello Timoteo” (13,23). Questo potrebbe farci pensare all’apostolo Paolo come autore, ma sia Origene, sia Lutero che Calvino affermano di non poter indicare alcuna “paternità” sicura a questo scritto. Sconosciuti come l’autore sono i destinatari. Alla fine della lettera vengono riportati saluti da parte di “quelli d’Italia”. La comunità indirizzata ha avuto, come pare, dei legami con queste persone. Ma altro non sappiamo, altro la lettera non ci dice.
Una lettera fuori tempo, fuori spazio? Una lettera senza alcun significato per noi, oggi? Oppure, possiamo trovare degli spunti per la nostra vita comunitaria concreta, proprio da questa lettera?
Tre cose spettano alla comunità: un sacrificio di lode, l’esercizio della beneficenza, l’ubbidienza ai conduttori. Culto, diaconia, disciplina. Queste sono le tre cose che stanno al cuore dell’autore. La lode di Dio, la solidarietà fraterna, l’osservanza del regolamento ecclesiastico.
Altro non sta facendo la nostra chiesa nel suo insieme. La Tavola Valdese cura, soprattutto, questi tre aspetti della vita delle nostre chiese: assicura la predicazione, gestisce o fa gestire ad altri la diaconia, fa osservare la disciplina ecclesiastica. Queste tre cose fanno parte dell’unico progetto della missione della chiesa: la predicazione dell’evangelo e connesso con la solidarietà diaconale come le opere diaconali devono essere espressione di quell’evangelo, quella buona notizia, e tutto questo e ben strutturato e regolato non a motivo di ciò che qualcuno in un certo momento ritiene “giusto”, ma con delle norme vigenti, raccolte nelle nostre discipline, deliberate dal Sinodo, organo ecclesiastico supremo delle nostre chiese. Queste norme vengono, se necessario, aggiornato, rese più efficaci all’opera di evangelizzazione e di beneficenza che si vuole promuovere. Le regole non sono eterne, ma sono l’espressione di un “controllo controllabile”, modificabile nel tempo. Le norme vigenti sono un tentativo umano per stabilire democraticamente la nostra “causa” o “casa comune” – la chiesa, la comunità dei e delle credenti. Alcuni, forse molti di noi non conoscono queste cose, perché – grazie a Dio – di solito nella nostra vita comunitaria non si incontrano casi in cui bisogna ricorrere alle discipline. Spesso si può chiarire molto con un colloquio personale e fraterno.
Questa lettera “agli Ebrei” esorta all’osservanza delle cose “fondamentali”: quelle biblico-teologiche, dottrinali-cristologiche ed regolamentari-ecclesiastiche. Cristo è l’unico che rimane invariato nel tempo: “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno“ (Ebrei 13,8).
Tutto il resto può cambiare. “Perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma
cerchiamo quella futura.” (A.K.)