“Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate
per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà.” (Romani 12,2)
Possiamo vivere il periodo della Passione come un “periodo di prova” della nostra coscienza, come un esame del nostro modo di vivere la fede, del nostro modo di vivere la nostra “missione impossibile” del discepolato.
In questo periodo penso spesso ai profeti, in modo particolare a Geremia. Penso all’annuncio della Parola di Dio in tempi in cui il culto è dedicato a Baal – al Dio del denaro e del mercato globale – mentre i soggetti più deboli della società non ottengono giustizia. La Parola del Signore, la sua Legge, proclamata contro la “via delle nazioni”, viene dimenticata: lo stesso popolo di Dio non attua la volontà di Dio nella vita quotidiana.
Geremia, portatore della parola del Signore, prende una posizione politica chiara quando accusa il re di spargere sangue innocente e gli promette una brutta fine: ”… sepolto come si seppellisce un asino, trascinato e gettato fuori dalle porte di Gerusalemme” Geremia 22,19).
Geremia se la prende anche con i sacerdoti del tempio a Gerusalemme: il Tempio per Geremia non è più il luogo santo di Dio, perché i sacerdoti coprono la politica ingiusta del re con il loro silenzio. “Non ponete la vostra fiducia in parole false, dicendo: Questo è il tempio del Signore!
Ma se cambiate veramente le vostre vie e le vostre opere, se praticate sul serio la giustizia gli uni verso gli altri, se non opprimete lo straniero, l’orfano e la vedova, se non spargete sangue innocente in questo luogo, e non andate per vostra sciagura dietro ad altri dèi, io allora vi farò abitare in questo luogo, nel paese che allora diedi ai vostri padri per sempre” (Geremia 7, 4-7).
L’apparato politico-religioso del periodo reagisce subito. Geremia viene accusato di bestemmia, viene del continuo minacciato dalla
classe dirigente e dai sacerdoti del Tempio, viene flagellato e messo in ceppi. Infine, gli viene persino proibito l’accesso al Tempio. Geremia rimane solo ed isolato, ed è la Parola di Dio soltanto che gli fa ancora compagnia. La sola Parola di Dio gli diventa una consolazione nella sua disperazione. Geremia ci descrive la vita dei
e delle credenti come “martirio”, come una vita di testimonianza, che non adatta la propria fede a ciò che conviene. Spesso, lo sappiamo, conviene il silenzio. Testimoniare la propria fede, però, non vuol dire essere troppo convinti dell’adeguatezza dei propri ‘santuari’ (“questo è il tempio del Signore!”). Credere vuol dire impegnarsi per obiettivi concreti nella società, per una società senza “spargimento di sangue”. E le chiese? Le chiese sono chiamate non a tacere, ma ad alzare le loro voci, quando – addirittura nel nome della cristianità – si progettano strade che portano alla violenza, alla sofferenza e all’emarginazione.
Voglia il Signore della vita aiutarci a vivere il tempo di questa “passione” non come un lontano ricordo della Passione di Cristo. Portiamo il suo fuoco vitale nella nostra realtà, perché possiamo
ritrovare calore e compassione gli uni per gli altri.
(AK)