Quando il giorno della Pentecoste giunse, tutti erano insieme nello stesso luogo.
Improvvisamente si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso che soffia, e riempì tutta la casa dove essi erano seduti.
Apparvero loro delle lingue come di fuoco che si dividevano e se ne posò una su ciascuno di loro.
Tutti furono riempiti di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro di esprimersi.Atti 2,1-4
Nei 50 giorni che seguono la crocifissione di Gesù, gli apostoli e i discepoli che lo avevano accompagnato nella sua missione terrena vivono un drammatico senso di perdita e di smarrimento: non riescono ancora a capire il senso di quanto è accaduto e che sembra smentire tutte le loro speranze e attese. Devono confrontarsi nella meditazione e nella preghiera con le parole dei profeti antichi e con quelle di Gesù per trovare significati che forse a loro erano sfuggiti, o che non avevano pienamente compreso.
Ad accrescere la loro inquietudine si aggiungeva la concreta paura di possibili ritorsioni nei confronti dei seguaci del Nazareno da parte delle autorità religiose e politiche; si sentivano braccati e quindi si tenevano alla larga dai luoghi più frequentati, dalle piazze e dalle folle. Si erano dispersi nelle periferie della Palestina, si erano chiusi nelle case dove attendevano in preghiera lo sviluppo degli eventi. Dovevano ritrovare le sorgenti della loro fede nella preghiera e nella meditazione.
E finalmente, in occasione della festa tradizionale della Pentecoste, quando la comunità israelitica ricordava solennemente l’alleanza del popolo con il suo Dio, i seguaci di Gesù trovano la forza di ripresentarsi in pubblico, nel cortile di Salomone, nel Tempio di Gerusalemme, dove si radunavano le folle di pellegrini di fede giudaica provenienti dalle diverse aree dell’Impero.
A dare enfasi al nuovo protagonismo dei discepoli del Cristo morto e risorto è l’evangelista Luca, autore degli Atti degli apostoli, che da storico qual è, ma anche da vero drammaturgo, costruisce una scenografia destinata a rimanere nell’immaginario della cristianità per i secoli a venire. Egli ci descrive tutti i fenomeni straordinari che segnano quella giornata memorabile, e lo fa utilizzando elementi che sono ben presenti agli uditori del Tempio, in quanto appartengono alla tradizione: il fuoco, il vento, o la glossolalia, sono tutti indizi della presenza della ruach, lo spirito del Signore. Di fronte allo stupore della folla, che è in ogni caso preparata all’attesa del Regno, Pietro, il padre degli apostoli, trova il coraggio di rivolgersi ai presenti e di annunciare la novità dell’Evangelo, sottolineandone la novità e al tempo stesso la continuità rispetto a quanto annunciato dai profeti.
Il fulcro del suo annuncio è il fatto che il sacrificio del Giusto, sebbene non abbia eliminato la prospettiva apocalittica, annuncia tuttavia una prospettiva molto concreta e densa di esiti futuri: il messaggio pasquale, se accolto, riesce a trasformare la vita delle persone.
Se è vero che il messaggio pasquale incide molto concretamente all’interno delle relazioni umane, ne consegue che ai credenti si apre uno sterminato campo di potenzialità per far sentire la voce del Risorto attraverso le parole e le azioni.
Parole di giustizia, azioni di cura e di rammendo delle ferite spirituali e materiali che lacerano gli umani, questo è il campo di lavoro di quanti attendono la realizzazione escatologica del Regno dei Cieli.